Arti visive - Mostre - Cinema - Usi e tradizioni - Patrimoni culturali e artistici: Italia / estero

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    Nota: gli articoli sono in ordine cronologico dall'alto verso il basso; pertanto, i più recenti sono in fondo alla pagina
    Indice degli argomenti (in giallo gli articoli più recenti)

    - I capolavori di Caravaggio, tra musiche o odori
    - Sguardi paralleli - Mostra di Ballocco e Morellett a Lucca
    - Ricordo di Paolo Poli
    - "La macchinazione", film sulla fine di Pasolini. Trailer
    - Altri miti e culture. Magia e sciamanesimo. Carlos Castaneda: perché l'essere unmano è uno schiavo
    - Resti del centro minerario di Naracauli - Monumento Nazionale
    - Cappela Sistina: storia, immagini e visita virtuale
    - Ischia: prima colonia della Magna Grecia
    - Opere di Boccioni in mostra a Palazzo Reale di Milano
    - A San Giorgio Albanese un evento tra le Comunità italo-albanesi e l'Albania
    - A Napoli c'era 'o sanguettaro, un mestiere nauseante. Vediamo cosa faceva
    - Quando bronzo e acqua si fondono in una scultura diventano arte
    - "Il castello del diavolo", primo film horror nella storia del cinema
    - Schinkel, la grande composizione. Le ultime opere utopiche
    - Giorgio Albertazzi non c'è più. Un maestro, un grande amico, protagonista tra i perdenti di successo
    - Il Gotheanum e la libera architettura di Rudolf Steiner
    - L'Italia e i suoi dialetti - 1. Premessa
    - L'Italia e i suoi dialetti - 2. Piemonte
    - L'Italia e i suoi dialetti - 3. Lombardia
    - Paul Klee: punti spunti su un pittore estemporaneo
    - La via Francigena: storia e curiosità
    - L'Italia e i suoi dialetti - 4. Liguria
    - Capitale italiana della Cultura 2018: le 21 candidate
    - Roberto Gonsalves: 25 quadri con illusione ottica
    - 23 librerie che faranno morire di invidia i vostri ospiti
    - Anna Magnani, madre del popolo
    - "Le Voyage dans la lune" - primo film di fantascienza, 1902
    - I paesaggi urbani di Mario Sironi
    - La teoria estetica di Gottfried Semper
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    I CAPOLAVORI DI CARAVAGGIO, TRA MUSICHE E ODORI
    "Caravaggio experience" - Roma, Palazzo delle Esposizioni
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    In tre sale del Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, a Roma, vengono proiettate immagini di cinquantasette capolavori di Michelangelo Merisi, più noto come Caravaggio (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610). Si tratta di una mostra particolare e innovativa, che mette in risalto particolari delle opere dell'Artista che possono facilmente sfuggire agli occhi degli appassionati. Grazie a 33 proiettori altamente sofisticati, infatti, vengono alla luce dettagli ingranditi 25 volte permettendo ai visitatori di ammirare le tele attraverso una prospettiva sorprendente e finora inedita. Non solo, queste proiezioni sono accompagnate da soavi musiche composte per l'occasione da Stefano Saletti e da fragranze olfattive selezionate dall'Officina di Santa Maria novella di Firenze.
    caravaggio caravaggio1 (due quadri di Caravaggio; il secondo è un autoritratto)
    "Caravaggio experience", che sarà accessibile fino al 3 luglio, grazie a questi espedienti tecnologici di proiezione consentirà al visitatore di provare un coinvolgimento particolare, quasi si riuscisse a penetrare all'interno delle trame delle tele, in un viaggio multimediale mai tentato prima; un'esperienza da non perdere, visto che consente di ammirare una vasta gamma di dettagli che di solito non vengono notati. Caravaggio non ebbe vita facile. Di indole irrequieta, impulsivo e litigioso, non solo non venne "capito" e apprezzato dai suoi contemporanei (un noto pittore francese, osservando le sue opere quando l'artista era scomparso da oltre un decennio, disse addirittura che "era venuto per distruggere la pittura"). Del resto non era facile, a quei tempi, accettare e apprezzare i caratteri innovativi della sua pittura, pervasa di un realismo quasi drammatico. Ma l'aspetto che era in antitesi con la tradizione consisteva soprattutto nella organizzazione e realizzazione di tele quasi tridimensionali, basate sul contrasto luce/ombra; i soggetti di molte suoi quadri affioravano da un fondale scuro, quasi inesistente ed erano sfiorati, carezzati e messi in risalto da "punti luce" che venivano sapientemente posizionati dall'artista quando si accingeva a dipingere. Su di lui ricadde non solo l'indifferenza e forse lo sfregio dei contemporanei, ma anche la pesante orma della sventura, che lo accompagnò per tutta la vita, fino a portarlo sul precipizio di un vero e proprio dramma. Nel 1606, infatti, fu condannato alla decapitazione per un omicidio che aveva commesso a Roma, dopo una partita di pallacorda a Campo Marzio. Da qui, per lui che già era stato incapace di fermarsi stabilmente in un luogo, si scatenò una fuga che lo portò a Napoli, a Malta e in Sicilia, per concludersi poi in Toscana dove era andato nel tentativo di recuperare alcune tele in cambio delle quali - così sembra, ma non è certo - il cardinale Scipione Borghese gli avrebbe promesso l'abolizione della condanna. La sua pittura cadde quasi nell'oblio per secoli e solo di recente, poco più di ottanta anni fa, l'opera di Caravaggio è stata rivalutata e apprezzata in pieno, soprattutto per merito del critico Roberto Longhi. Abbiamo messo in risalto il realismo di alcuni suoi quadri, dovuto appunto alla particolare disposizione di luce che avvolgeva alcuni suoi soggetti. Per questo, "Caravaggio experience", esposizione nella quale non sono presenti le tele, ma sia avvale della loro proiezione, di elaborazioni e di ingrandimenti, è più che mai consona alla genialità di questo artista. Purtroppo molte opere proiettate non sono più in Italia da tempo: una ragione in più per visitare la mostra che resterà aperta fino al 3 luglio..
    caravaggio3 (Il Palazzo delle Esposizioni a Roma, via Nazionale)

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    SGUARDI PARALLELI
    Mostra di Ballocco e Morellett a Lucca, fino al 26 giugno
    (di Cristina Gaglione - fonte: tuttomondonews.it)

    6E8PMRHs (M. Ballocco: reticolo geometrico bleu, nero e bianco, 1954)
    clicca sul link sottostante per leggere l'articolo

    www.tuttomondonews.it/sguardi-paralleli-ballocco-morellet
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    POLIRicordo di PAOLO POLI
    (di Alessandra Vitali - Fonte: Repubblica.it)

    http://larep.it/21KYXkD (cliccare sul link qui a sinistra per accedere all'articolo)

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    locandina"La macchinazione", il film sulla fine di Pasolini. Trailer.
    www.facebook.com/726103557496022/videos/841940765912300/ (clicca sul link a sinistra per vedere il trailer)
    Recensione di Boris Sollazzo (fonte: Rollingstone.it)
    www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&es...G8XaCb_xnsBe5WQ (clicca sul link a sinistra per leggere l'articolo)
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    castanedaAltri miti e culture. Magia e sciamanesimo
    Carlos Castaneda: perché l'essere umano è uno schiavo

    Carlos Castaneda è uno scrittore peruviano naturalizzato americano. Non tutto è chiaro, a proposito della sua vita. E' nato nel 1925, secondo alcuni a Cajamarca, nel Perù, secondo altri a San Paolo del Brasile; anche sulla data della sua morte, avvenuta a Los Angeles, ci sono alcune contraddizioni. Pare infatti che sia scomparso nel 1998, ma sembra che la notizia della sua morte fu data in ritardo di ben due anni e che quindi lasciò questo mondo nel 1996. Quando si laureò in Arte, nel 1962, già risiedeva stabilmente in territorio americano da cinque anni. In seguito conseguì il dottorato in filosofia. Si occupò di antropologia e soprattutto di sciamanesimo. Divenne erede dell'antica sapienza degli sciamani toltechi, sotto la guida del suo Maestro indiano: Yaqui Juan Matus, che conobbe nel 1960 (ma pare che costui fosse un personaggio immaginario, frutto della fantasia dello scrittore).
    castaneda2 castaneda4 (due libri di Castaneda editi da Rizzoli. Cliccare sulle immagini per ingrandire)
    Scrisse molti libri di magia e sciamanesimo e spesso venne criticato da antropologi e da altri studiosi. Le sue opere, comunque, ebbero enorme successo; furono tradotte in diciassette lingue e hanno venduto oltre otto milioni di copie. L'articolo che segue non è nostro, ma del blog e sito "progetto umano", quindi - per nostra correttezza - riportiamo direttamente il link al sito.
    http://blogprogettoumano.blogspot.it/2016/...e.html?spref=fb
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    RESTI DEL CENTRO MINERARIO DI NARACAULI - Monumento nazionale
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    E' dal 1985 che i resti del centro minerario di Naracauli sono stati dichiarati, dai Beni Culturali, Monumento Nazionale. La località di cui parliamo è situata nella Sardegna occidentale, a metà fra Cagliari e Oristano, ma spostata ad ovest, verso la costa. In questa zona del Medio Campidano si estraeva argento, piombo e zinco. Aperta nel 1885, la miniera è rimasta in attività sino al 1960. Dopo la sua chiusura, il centro abitato si è man mano spopolato finché il paese è rimasto completamente deserto. La zona è attualmente visitabile; restano le vestigia di un luogo abbandonato, ma presente nel ricordo di chi un tempo è nato o comunque ha vissuto tra quelle mura.
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    CAPPELLA SISTINA: Storia, immagini e visita virtuale
    http://lastoriaviva.it/il-tour-virtuale-de...appella-sistina
    (clicca sul link per leggere e per vedere i filmati)
    fonte: lastoriaviva.it
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    ISCHIA: PRIMA COLONIA DELLA MAGNA GRECIA

    Verso il 780 a.C. a Ischia sorse la prima colonia della Magna Grecia.
    Un’isola vulcanica di poco meno di 50 chilometri quadrati, al largo dello splendido Golfo di Napoli: Ischia, come la conosciamo oggi, o Pithekoussai, il luogo “popolato dalle scimmie”, come la chiamavano i Greci antichi. In realtà, è solo una delle tante ipotesi sull'origine dì questo nome, ma certo la più suggestiva. Il primato di Ischia non sta nella sua bellezza mozzafiato né nei suoi abitanti mitologici; lì, quasi 2.800 anni fa, fu fondata la prima colonia greca nel nostro Paese, il primo passo della Magna Grecia. L’archeologo Giorgio Buchner, che a partire dal 1952 diresse i primi scavi scientifici sull’isola, ha scritto che "durante un breve periodo, Pìthekoussai è stata un centro importante" soprattutto per i commerci, che per i coloni ellenici erano vitali come l’aria e l’acqua. “Qui convergevano i traffici dalla Grecia e dall’Egeo, da Cipro, dalla Siria e dall’Egitto, il porto base greco più avanzato per il commercio con l’Etruria”. Il piccolo avamposto si trasformò infatti, e molto rapidamente, in fiorente emporio commerciale.
    Ma come si può affermare che proprio Ischia fu il primo approdo ellenico? Semplice: nessun altro sito della Penisola ha restituito ceramica greca così antica. Non solo. Nel 1989 un ritrovamento casuale ha permesso dì portare alla luce i resti di quello che sembra essere stato il primo nucleo dei coloni: una fattoria con resti di ceramica che risalirebbero al 790-780 a.C.
    Il luogo in questione, Punta Chiarito e la sottostante Baia di Sorgete, corrisponde al tipico approdo preferito dai navigatori dell’antichità: una piccola insenatura riparata dal vento di maestrale, ideale per l’ancoraggio.
    Ma da dove erano partiti quei misteriosi uomini (senza donne, quelle se le sarebbero procurate sul posto), sbarcati a Baia di Sorgete? Secondo il geografo Strabone, dalle città di Calcide ed Eretria in Eubea. Dalla “base” di Punta Chiarito si sarebbero mossi in tutte le direzioni, fino alle alture di Monte Vico e alla Valle di San Montano, dove sorse l’abitato principale.
    La scelta di Ischia non fu dunque casuale. Nonostante le dimensioni ridotte, l’Isola delle scimmie aveva tutto il necessario: sorgenti d’acqua (anche termale), terreno coltivabile, argilla per la produzione di ceramica e, sempre secondo Strabone, oro; inoltre era un luogo sicuro.
    Ischia era perfetta: abbastanza lontana dalle bellicose popolazioni della terraferma, ma abbastanza vicina alla costa da garantire scambi economici. In questo modo Ischia divenne la prima colonia della Magna Grecia.
    (fonte:Giovanni Landini, Focus Storia)
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    OPERE DI BOCCIONI
    IN MOSTRA AL PALAZZO REALE DI MILANO
    Una mostra completamente dedicata a Umberto Boccioni, grande artista del Futurismo e indiscusso protagonista dell’Avangiardia italiana. La sua geniale soluzione nel rappresentare visivamente il movimento e le sua ricerca sul rapporto tra oggetto e spazio hanno influenzato fortemente le sorti della pittura e della scultura del XXI secolo. Un’occasione unica per scoprire i più importanti dipinti e sculture dell’artista, ma anche dei principali protagonisti della cultura a lui contemporanea, insieme ad un’ eccezionale selezione di 60 disegni di Boccioni provenienti dal Castello Sforzesco di Milano. Ricca di novità, la mostra racconta il percorso artistico di Boccioni, la sua fama internazionale e la sua attività milanese, alla luce anche di inediti documenti riemersi.Frutto di un progetto di ricerca curato dal Gabinetto dei Disegni della Soprintendenza del Castello Sforzesco, la mostra è prodotta e organizzata da Castello Sforzesco, Museo del Novecento e Palazzo Reale con la casa editrice Electa, e presenta circa 280 opere tra disegni, dipinti, sculture, incisioni, fotografie d’epoca, libri, riviste e documenti.
    fino al 20 luglio
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    A SAN GIORGIO ALBANESE UN EVENTO TRA LE COMUNITÀ ITALO-ALBANESI E L'ALBANIIA
    (di Pierfranco Bruni)

    Albanesità tra modelli antropologici, lingua e letteratura. A San Giorgio Albanese un evento tra le comunità italo-albanesi e l’Albania. La storia del popolo arbereshe (italo-albanese) è una storia che trova nelle identità delle culture mediterranee una chiave di lettura fondamentale. Realtà meridionali che hanno sempre avuto contatto con il mare nonostante gli stanziamenti interni delle popolazioni arbereshe.
    In fondo gli albanesi, ieri come oggi, venivano e vengono dal mare. I paesi che registrano usi, costumi, lingua, tradizione e storia arbereshe in Italia sono 50. In Puglia ce ne sono tre. Nella sola Calabria ci sono 33 comunità arbereshe. I beni culturali, (il patrimonio culturale in senso più generale) di questi paesi, rappresentano una chiave di lettura per un processo non solo di conoscenza ma soprattutto di valorizzazione e di fruizione sia sul piano scientifico che didattico – pedagogico.
    La manifestazione che si è svolta a San Giorgio Albanese il 7 maggio ha una sua particolare e peculiare importanza sia dal punto di vista linguistico che antropologico–letterario e pone al centro una questione di identità culturale. (San Giorgio Albanese)
    La conoscenza del loro patrimonio è conoscenza dei territori nei loro elementi di raccordo tra passato e presente e tra presente e sviluppo culturale. dalla tradizione ai processi informativi. Un percorso che interessa la loro identità e la loro antica e attuale presenza nei territori. Sono interessati regioni come la Puglia, la Calabria, la Sicilia, La Basilicata, la Campania, il Molise, l’Abruzzo.
    C’è uno stretto legame, nei beni culturali dei paesi albanesi d’Italia, tra il patrimonio architettonico (il patrimonio storico-culturale), la lingua e il culto. Questo vuol dire che i beni culturali rappresentano, in tali territori, una espressione della condizione liturgica che si manifesta nella simbologie delle strutture. C’è da precisare un fatto che è significativo per queste comunità e si legge come un dato laico. Il centro storico è quasi sempre il centro abitato e il centro abitato è quasi sempre nel centro storico.
    Una splendida visione del genere si registra a Civita, a San Giorgio Albanese. Ma penso anche a Farneta, ad alcuni ambienti di San Marzano di San Giuseppe, ad alcuni paesi della siciliana Piana. Penso al paesaggio–presepe di San Paolo in Basilicata o a Ururi. Cioè il bene culturale che si percepisce nella storia delle abitazioni diventa una manifestazione della vivibilità e quindi una manifestazione del quotidiano e mai un retaggio antropologico. Ed è un fatto positivo che incide su quattro aspetti. Uno sociologico. Uno storico. Uno artistico. Uno documentario.
    Ma la storia di queste comunità è vissuta come decodificazione di un processo artistico. Infatti le chiese o i conventi (si pensi a San Demetrio con il suo Sant’Adriano e il suo Centro Studi o a Spezzano Albanese o alle comunità di Piana degli Albanesi) sono i contenitori non solo di un “apparato” storico e architettonico dalle radici o matrici Orientali ma costituiscono soprattutto l’immagine di una proiezione d’arte.
    La Calabria è al centro di questo itinerario. Dalla provincia di Cosenza a quella di Crotone a quella di Catanzaro. Un itinerario che tocca il paesaggio e la cultura, i riti e le forme di tradizione. Un viaggio tra gli Arbereshe della Calabria è un viaggio che ci mette al centro di un rapporto tra Occidente ed Oriente. La chiesa dell’Assunta di Firmo è la tipica fotografia che mette insieme semplicità della struttura e culto delle civiltà albanofone. Mentre la cattedrale di Lungro è l’incontro tra il raffinato stile medio orientale e il desiderio di occidentalizzazione dell’arte. Una cultura di stampo prettamente bizantino. Il bizantino qui si svolge in un incrocio tra il romanico e il barocco.
    Dalla semplicità della chiesa di Firmo alla esuberanza e sobrietà della cattedrale di Lungro. Dalla semplicità lineare di Macchia alle forme “barocche” di San Demetrio. Dal bizantinismo restaurato del campanile della chiesa di San Pietro e Paolo di Spezzano Albanese al decorativo piano di Barile. Agglomerati urbani che si dichiarano artisticamente attraverso una tradizione che ha come bene fondante il culto. I beni culturali, per la maggior parte, in questi paesi, sono beni di culto.
    Per restare nell'antica Terra d'Otranto ci sono alcune sottolineature da cesellare. In Puglia, dunque, vi sono tre comunità Arbereshe (italo - albanese). Una in provincia di Taranto, San Marzano di San Giuseppe, e le altre due in provincia di Foggia: Chieuti e Casalvecchio di Puglia. Cultura popolare e identità etnico-linguistica, qui, si intrecciano. Un processo di civiltà che ha come fondamento storico il valore della tradizione. Sono territori che risultano interessati da una cultura "minoritaria" ma che hanno una grande valenza antropologica.
    La Puglia come la Calabria, in particolare, o la Basilicata o la Sicilia o il Molise le altre due Regioni difendono il patrimonio delle minoranze non dimenticando i valori dell’Unità e delle identità di una tradizione che racconta le sue diverse storie. Gli arbereshe sono storia, tradizione cultura. Il loro patrimonio si innesca in una visione ampia sul piano identitario. Resta, comunque, fondamentale il rapporto tra i paesi che tuttora praticano la lingua arbereshe e quei paesi che hanno perduto usi, tradizioni e costumi oltre che la stessa lingua.
    L'Italia è una Nazione che ha distribuito in tutto il suo territorio una carta linguistica abbastanza eterogenea. Dal catalano presente in Sardegna al greco in Puglia e in Calabria, dall'albanese vivo in sette Regioni allo sloveno sulle Prealpi Giulie, nel Carso e nelle vicinanze di Gorizia e Triste, dal serbo-croato in Istria e Molise al franco - provenzale sulle Alpi piemontesi, in Calabria, in Valle d'Aosta, in Puglia. Dodici sono le comunità etnico - linguistiche, oggi riconosciute in Italia, fissate dalle vigenti normative. Una mappa dei linguaggi che si porta dietro fattori di ordine storico.
    Gli arbereshe si sono retti finora perché il senso comunitaria è stato ed è abbastanza profondo. D'altronde la loro azione è stata sempre rivolta a fattori culturali, i quali hanno rappresentato riferimenti valorizzanti. Il problema è recuperare le identità attraverso una maggiore conoscenza che tocca aspetti eterogenei che vanno da forme antropologiche alla lingua, dai beni culturali ai costumi. Infatti uno dei rapporti fondamentali lo si gioca tra lingua, linguaggi e dialetti.
    Il caso delle comunità arbereshe è emblematico. Gli arbereshe sono una realtà sia per il patrimonio linguistico che conservano da cinquecento anni sia per le testimonianze storiche che sono un documento e non solo una chiave di lettura fondamentale che rimarca i segni di una appartenenza. In Italia rappresentano non una diversità ma dimostrano la presenza di un bilinguismo originario ben radicato e anche strutturato nelle varie aree del Paese. Formano un ponte sostanziale con le culture sommerse del mondo balcano e la funzione del rito è la testimonianza della trasmissione di una tradizione religiosa profondamente radicata nella coscienza.
    Oggi il rito greco-ortodosso è professato in 26 dei 50 paesi. Si tratta di un dato che chiama in causa non solo fattori di ordine religioso ma, dietro il fatto religioso, c'è soprattutto una profonda acquisizione dei valori culturali di origine. La stessa forma delle strutture religiose rimanda a dimensioni etiche ed estetiche di formazione orientale. C'è una cultura italo - albanese di riporto ma c'è anche una tradizione prettamente arbereshe. Sono oltre 100.000 gli arbereshe oggi presenti in Italia. Pur nella loro eterogeneità hanno un comune sentire il luogo.
    Questi arbereshe, dunque, hanno assorbito una doppia formazione oltre ad esprimersi in un bilinguismo che ha costituito il portato di due modelli culturali. Proprio da questo punto di vista la funzione dei beni culturali resta fondamentale in quanto diventa l'espressione di una testimonianza di civiltà da tramandare, da trasmettere.
    Tra i paesi arbereshe c'è un vocabolario che pur restando alla base omogeneo si diversifica, a volte, rispetto alle aree territoriali. Questi paesi, in realtà, pur mantenendo una loro coerenza linguistica hanno assorbito modelli presenti su un territorio con influenze, non solo linguistiche, eterogenee. Insomma c'è stato un assorbimento di modelli culturali popolari e istituzionali.
    Il bilinguismo rafforza, in effetti, il senso di appartenenza. Gli arbereshe sono quelli che hanno lasciato una Patria, anzi hanno perduto una Patria, e proprio per questo sono ben consapevole della sofferenza della diaspora. Nella loro storia ci sono elementi che definiscono le origini stesse della cultura del Mediterraneo. Un Mediterraneo che ha realizzato sempre incontri tra civiltà. Un incontro, che la letteratura ha ben sottolineato, tra popoli di mare e di terra.
    (Le due immagini affiancate mostrano costumi albanesi di San Paolo in Basilicata)
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    A NAPOLI C'ERA 'O SANGUETTARO
    un mestiere nauseante, ecco cosa faceva
    (fonte: vesuviolive.it)
    cliccare sul link sottostante

    www.vesuviolive.it/cultura/144246-n...te-cosa-faceva/ ====
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    QUANDO BRONZO ED ACQUA SI FONDONO IN UNA SCULTURA
    DIVENTANO ARTE

    www.incredibilia.it/fontane-viventi-malgorzata-chodakowska (clicca sul link a sinistra)
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    "IL CASTELLO DEL DIAVOLO".
    PRIMO FILM HORROR NELLA STORIA DEL CINEMA
    (fonte: Matteo Rubboli / Vanilla Magazine)

    Girato nel lontano 1896, "Il castello del diavolo" è il primo film horror nella storia del cinema. Durava solo tre minuti, un arco di tempo che a noi oggi può sembrare un'inezia, ma che a quei tempi era quasi un miracolo dell'ingegno e dell'arte.
    La proiezione mostra l'incontro del diavolo con altre entità paranormali; l'intento di questo lavoro, tuttavia, non era quello di ottenere un autentico effetto horror, ma di spaventare divertendo lo spettatore.

    www.vanillamagazine.it/il-castello-...or-della-storia
    (clicca sul link, leggi l'articolo e visiona i filmati)

    NOTA: l'articolo è stato ripreso da Facebook, su un Post pubblico. Siamo pienamente disponibili ad eliminare l'articolo qualora ci venisse richiesto dall'autore o dalla Rivista,
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    SCHINKEL, LA GRANDE COMPOSIZIONE.
    LE ULTIME OPERE UTOPICHE.
    (di Marco Volpato)

    Molti critici sono concordi nell’affermare che le ultime opere “utopiche” di Schinkel siano in realtà molto più realistiche che “fantastiche”.
    L’opera di Schinkel può essere facilmente classificabile in quattro periodi. Un primo periodo che riguarda i suoi viaggi in Italia, l’attenzione per l’architettura gotica (saracena come la chiama lui) e il mito classico dell’architettura e dei paesaggi italiani.
    Un secondo periodo in cui si passa dal gotico al classico: i progetti per Potsdam.
    Un terzo periodo la realizzazione di Berlino come Atene del nord, l’acmè della sua architettura classica sulla capitale prussiana: sono di questo periodo l’Alt Museum, la Neue Wache, il duomo al Lustgarten, e il teatro Nazionale. Per concludere la sua parabola lavorativa con i progetti cosìdetti “fantastici”, la ricostruzione delle ville di Plinio, il progetto per l’Acropoli di Atene e il progetto per un palazzo in Crimea ad Orianda.
    Tralascieremo i primi tre periodi e parleremo del quarto periodo, i progetti tardi: le grandi composizioni, rimaste sulla carta forse perché fuori della portata dei committenti.

    (leggi tutto l'articolo e guarda le immagini cliccando sul link)
    www.studioviemme.it/k-f-schinkel-la-grande-composizione/
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    GIORGIO ALBERTAZZI NON CÈ PIÙ.

    UN MAESTRO, UN GRANDE AMICO, PROTAGONISTA TRA I PERDENTI DI SUCCESSO.
    (di Pierfranco Bruni)

    Quando un attore e un uomo, un uomo e un attore, come Giorgio Albertazzi si assenta dalla vita terrena, la sua vacanza crea una voragine. La crea nella vita di chi lo ha conosciuto, gli è stato amico, gli è stato vicino in alcune parentesi di vita, ci sono state concordanze culturali e letterarie che hanno accomunato i nostri percorsi e i nostri interessi (penso alle “Memorie di Adriano” del quale discutemmo, decenni fa in un convegno: Grisi, Albertazzi ed io). Ma Giorgio non c’è più.
    L’ultima volta che ci siamo incontrati è stata alla registrazione di una trasmissione di Gigi Marzullo per Rai Uno. L’incontro che si stabilì e che fu nodale avvenne anche a Taranto quando portò sulla scena proprio “Memorie di Adriano” della Yourcenar in occasione dell’unico originale Magna Grecia Festival, da me voluto, e lui aprì con il suo straordinario monologo con quella sua tonaca bianca.
    Era nato il 1923 a Fiesole. Il suo bianco e nero nella prima stagione della televisione lo rese protagonista di storie e di letterature che restano incisi come arcani nella vita di generazioni. Lo aveva conosciuto anche mio padre (giovane della classe 1920, ma uniti da un uguale sentiero ideologico, passando da casa mia, in Calabria insieme a Grisi) e ne aveva una grande stima.
    Tutto il percorso mitico dal 1949 in poi è stato nella sua storia teatrale ma anche nel suo vissuto. Il mito come senso tragico e la tragedia come un Cervantes che conosce il palcoscenico, ma sa molto bene cosa si può nascondere dietro la ribalta e dietro ogni scena. Fu un uomo di teatro nella vita e nel teatro e non dimenticò mai di essere un uomo vissuto, ma che sempre si meravigliava sino a raccontarci la letteratura contemporanea.
    Dal cinema alla televisione al teatro. Un personaggi che sapeva raccontare il destino e l’avventura. Un istrione il cui inquieto scorrere della vita era il sorriso.
    “Il sorriso è il saper cogliere anche il dolore”, mi disse parlando della morte di Francesco Grisi nel 1999.
    Amici noi tre in quelle passeggiate notturne di una Roma sfavillante di colori in tramonto. Non smetteva di viversi e di regalarci la sua ironia. Da uno degli ultimi film risalente al 2011 “C’è chi dice no” a “Delitto e castigo”, il bianco e il nero, in televisione del 1954.
    Il fatto è che parlare di Giorgio Albertazzi è parlare di una letteratura che intreccia i destini con le allegorie. Il destino di Adriano è il destino della solitudine e della gloria nei popoli e nell’uomo. Dante, Petrarca, Leopardi, Neruda, Eliot, Eluard, Pasternak, San Francesco (I Fioretti) e Amleto letto, interpretato, recitato.
    L’uomo Albertazzi è l’uomo di una coerenza letteraria e di una fede culturale attraverso la quale la cultura e la sua formazione sono rimaste nella sua tradizione. Nella sua coerenza ci sono anche i suoi libri.
    A venti anni aderisce alla Repubblica di Salò. Ricopre un incarico importante dal punto di vista militare. È tenente nella 3^ Compagnia della famosa “Legione Tagliamento” che giungeva dalla scuola di Lucca. Nel 1945, con la sconfitta definitiva del fascismo repubblichino. al quale aveva aderito con forte convinzione, viene arrestato e accusato di essere stato il comandante di un plotone di esecuzione. Accusato di collaborazionismo. Resta in carcere fino al 1947 e liberato perché viene firmata e applicata la Amnistia Togliatti. Un uomo che non ha mai rinnegato e che ha visto nella sua giovinezza quella primavera che cercava anche mio padre. Un uomo dalla formazione forte e che non è mai traslocato sui carri dei vincitori. Coerenza, nobiltà di idee, dignità, lealtà.
    Il più grande attore che è riuscito a portare, interamente, sulla scena quella letteratura che per molti è solo lettura e per Giorgio è stata vita. Ha sempre creduto in quella frase che spesso citava: “Ci sono pochi modi nella propria esistenza di sfiorare l’eternità, uno è il sogno”.
    Nel sogno ha creduto sino agli ultimi giorni. Nella fantasia e in quel sorriso che non era maschera ma profonda ironia. Quanti discorsi nelle vie di Roma. Resta molto problematica quella sua frase che fece discutere: “Aveva ragione Benito Mussolini quando diceva che gli italiani sono ingovernabili. Sono impossibili, perché sono individualisti, ma poi nemmeno tanto, perché hanno bisogno di un complice e , aggiungerei, anche di un padre. Sono fantasiosi, ma nello stesso tempo sono completamente indisciplinati”. Si discusse a lungo, e la sua pazienza e le sue pause avevano delle verità mai taciute.
    Con molto coraggio aveva detto che una canzone di Vasco Rossi, in certi momenti della vita, vale quando una poesia di Leopardi. Un’intelligenza che soltanto gli uomini liberi possiedono. Un grande maestro, un grande amico, un personaggio unico al di là dello specchio e delle maschere.
    Quando la letteratura recita la vita si fa destino. E quando la vita è destino la letteratura scava non solo tra le parole.
    Io l’ho vissuto, nelle passeggiate romane, negli studi televisivi della Rai, negli incontri con Francesco Grisi come un grande viaggio nella vita e nel racconto.
    “Non dimenticare di raccontare sempre te stesso. Quando non ti trovi, fermati. Arriverà la parola giusta che ti permetterà di raccontarti”, Giorgio mi telefonò dopo la morte di mio padre. Io rilessi quel suo libro “Un perdente di successo” del 1988, che presentammo in quegli anni a Roma. Ma aveva già pubblicato nel 1976: “Uomo e sottosuolo”, un titolo in cui le metafore sono pieghe di vita. Nel 1973: “Pilato sempre” e nel 1953: “La nave dei liberti”.
    Dobbiamo sempre considerarci uomini e mai dei: mi disse parlandomi di Shakespeare. Il mio amico un grande maestro. È morto il 28 maggio (2016) a Roccastrada, tra il vento de “Il mercante di Venezia”. Quanti fatti ci sarebbero da raccontare. Tutta una vita. Tutta una storia tra cinema e teatro.
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    IL GOTHEANUM E LA LIBERA ARCHITETTURA DI RUDOLF STEINER

    (di Marco Volpato)

    Come altri filosofi Rudof Steiner si approcia all’architettura, non per diletto ma per rendere percepibile le idee. Le infinite variabili insite nella disciplina architettonica, la sua incerta fusione tra arte e scienza, rendono l’architettura una materia estremamente affascinante e alcuni filosofi si sono cimentati in essa. Penso a Ludwig Josef Johann Wittgenstein, penso a Juan Caramuel y Lobkowitz per andare più in la negli anni, scienziato e matematico ma anche architetto, oppure a Heidegger che pur non avendo costruito nulla si è dedicato al tema architettonico nel celeberrimo saggio sull’Abitare (costruire, abitare, pensare).
    www.studioviemme.it/il-gotheanum-e-...-rudolf-steiner (clicca sul link a sinistra per leggete tutto l'articolo)
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    L'ITALIA E I SUOI DIALETTI
    1- Premessa
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    Mi fa piacere aprire questa serie di articoli sui dialetti che si parlano nel nostro Paese rifacendomi ad alcune considerazioni di Luigi Grande, magistrato, narratore e saggista che ho avuto l'onore di conoscere parecchi anni fa; ho anche pubblicato, con la mia Casa editrice, un suo libro. Luigi Grande è scomparso da diverso tempo, ma è rimasto in me, indelebile, il ricordo della sua infaticabile attività letteraria, della sua costante ricerca, dell'entusiasmo che provava e trasmetteva agli altri ogni volta che si accingeva ad affrontare una nuova "fatica" letteraria.
    Grande, dunque, scriveva nella prefazione a due antologie sui poeti dialettali curate da Teodoro Giùttari, Adriana Nicolini e da me - pubblicate parecchi anni fa ("I Trovieri" 1975, "I Trovieri" 1978) - che "la frammentazione dialettale italiana - un caso linguistico certamente unico fra le nazioni europee, accostato addirittura, non senza un po' di esagerazione, alla situazione indiana - avrebbe potuto dar luogo nella nostra penisola alla nascita di numerose letterature neolatine o romanze". Se ciò non accadde - specifica sempre Luigi Grande - (a differenza di quanto avvenne in Spagna, ad esempio, con lo sviluppo della "parlata" castigliana e catalana o in Francia, con la "nascita" della lingua d'oil e la lingua doc) "è perché nel giro di appena mezzo secolo uno dei neolatini parlati in Italia, il toscano, assurge ai fastigi di una grandissima lingua letteraria per la gigantesca statura - stupefacente in relazione ai prodotti letterari coevi stranieri - della "Divina Commedia", del "Canzoniere" e del "Decamerone". Ma questo evento culturale e dotto se da una parte fa della vulgare eloquentia (per dirla con Dante) un raffinatissimo strumento di creazione artistica, dall'altra non può sostituirsi alle forze vive e spontanee che creano in una zona l'unità del linguaggio".
    La nostra meravigliosa letteratura, insomma, fu incapace di creare un'unica lingua parlata, ma nello stesso tempo impedì a qualsiasi altro neolatino italico di "far presa" e diventare un'altra lingua letteraria a tutti gli effetti. Ne consegue che tutte le parlate italiche estranee al toscano furono relegate alla condizione subalterna di "dialetti". Vi fu qualche limitata eccezione, in effetti, basti nominare Angelo Beolco (il Ruzzante) o "fare un pensiero" sul latino maccheronico del Folengo. "Fino a tutto il Cinquecento" annota ancora Luigi Grande, "non osa adottare il dialetto neanche la letteratura popolare". Bisogna aspettare il secolo XVII per notare qualche cambiamento, qualche novità. Ricordiamo il "Bertoldo" e il "Bertoldino", scritti in dialetto bolognese da Giulio Cesare Croce (1550-1609) e "Lo cunto de li cunti", scritto in napoletano da Giovan Battista Basile. A quell'epoca ci fu addirittura qualcuno che "osò" definire la "lingua" napoletana superiore a quella toscana. Ma è nel Settecento (secolo che fu anche "culla" di tradizioni e canti popolari), che il teatro e la poesia in dialetto raggiunsero esiti indubbiamente artistici; due nomi per tutti: Goldoni (veneziano) e Meli (siciliano).
    Tuttavia non ci fu un dialetto capace di creare una sua "letteratura". Le "isole" - non in senso geografico, ma letterario - rimasero (direi quasi "rimangono", al presente) "isole", anche a causa della conformazione fisica del nostro Paese, in gran parte montuoso e a forma di penisola, nel quale, fino a meno di un secolo fa non erano certo agevoli le comunicazioni tra regione e regione e il nord e il sud (per non parlare delle isole maggiori) restavano due poli antitetici, distanti, e per recarsi da Torino a Palermo occorrevano oltre dodici ore di viaggio.
    Vediamo, dunque, quali sono le peculiarità di questi dialetti, che comunque costituiscono un patrimonio culturale che andrebbe salvaguardato e conservato, a dispetto dell'appiattimento che ci viene quotidianamente imposto dai moderni mezzi di comunicazione. Cominciamo col "dialetto piemontese". (continua)
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    L'ITALIA E I SUOI DIALETTI
    2 - Piemonte* * *
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    La regione piemontese appare sbilanciata per quanto riguarda i confini dialettali, le influenze linguistiche esterne provengono da due poli opposti: l'uno occidentale, di matrice gallo-latina; L'altro orientale, tipicamente latino. Anche nel medioevo la dicotomia permane; il Piemonte infatti fu la regione che per ultima recepì il volgare, acquisito per osmosi dalla Lombardia; quindi i caratteri della nuova lingua furono sentiti maggiormente nella zona orientale. L'Occidente restò più aperto agli influssi francesi. Dice bene il Terracini che "una parola torinese par quasi un'eco di quella italiana, un'eco in parte fedele, in parte come smozzicata e confusa". La fonetica poi costituisce un "caratteristico aspetto del torinese, che lo allontana dall'italiano e lo avvicina alla fisionomia francese". Questa particolare formazione ha fatto sì che "l'insieme delle caratteristiche torinesi si estende con una certa uniformità soltanto a Nord e a Occidente della capitale (...) senza confini netti verso la pianura". Difatti verso la Liguria, nelle valli degli affluenti del Po, verso l'Emilia e la Lombardia i passaggi sono graduali. "Se ci rechiamo da Torino a Milano, città per città, villaggio per villaggio", scrive ancora il Terracini, non troviamo mai "un punto in cui noi possiamo dire che esso costituisce un limite tra il piemontese e il lombardo". Inoltre la zona dei dialetti piemontesi è meno vasta della regione; interamente compresa nel raggruppamento di sei province (quelle che corrispondono all'antico Stato Sardo): Cuneo, Torino, Asti, Alessandria, Vercelli e Novara, è però ben lontana da occuparne tutta quanta l'area. Ad Ovada, ad esempio, la parlata assume già colorito ligure, ma Novi e Garessio appartengono interamente al dialetto prettamente ligure. In alcuni centri in provincia di Cuneo o di Torino e nella Val d'Aosta, invece, si parlano dialetti provenzali. Alcune zone particolari all'interno della regione sono costituite da Vercelli e Alessandria, per quanto riguarda la desinenza del plurale femminile; Ivrea, per la configurazione della prima persona plurale; Mondovì e infine la Valsesia, dove si adopera, come caso unico, l'articolo gli.
    Individualità più netta, all'interno del dialetto, con particolari cambiamenti di vocali e di consonanti, si riscontra infine nel vasto gruppo monferrino, con un insieme di caratteristiche che hanno il loro centro ad Alessandria, ad Acqui ed a Casale.
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    L'ITALIA E I SUOI DIALETTI
    3 - Lombardia* * *
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    Ricca di isole e di frontiere dialettali interne, la Lombardia può essere divisa, a grandi linee, in tre zone interessanti dal punto di vista linguistico. La parte occidentale consta di dialetti veri e propri, della pianura e delle prealpi e di dialetti definiti lombardo-alpini.
    Abbiamo già parlato della labile e indistinta divisione esistente tra il Piemonte e la Lombardia; vi sono zone piemontesi che hanno risentito non solo dell'influenza lombarda in genere, ma che hanno accolto il moto accentratore e di livellamento tipico di Milano; moto spintosi appunto fino alla linea ideale che congiunge Ivrea con Vercelli e Piacenza. A settentrione è la seconda zona interessante, dove il dialetto sconfina in territorio svizzero; anzi, proprio a Bellinzona si conserva il dialetto lombardo autentico. Vi sono dialetti italo-svizzeri di tipo alpino nella zona dei Grigioni e in quella ticinese del Sopraceneri, ma altri che sono tipicamente lombardi, verso Lugano e Mendrisio.
    Centro particolare è Bormio dove, come in altri territori ticinesi si eliminano le tipiche vocali miste ö ed ü, ricorrendo al tipo toscano.
    La terza zona, invece, è quella orientale, dove l'area dialettale lombarda ha una appendice che giunge quasi fino a Trento e si ritrae poi entro i confini, arginata e quasi sopraffatta dall'influenza veneta che a Brescia è già piuttosto evidente.
    E' importante, appunto nel territorio orientale, la presenza di Brescia, dove si nota un'antitesi dialettale notevole col resto della regione, tanto che l'irraggiamento dialettale milanese, ripetiamo, è più consistente in territorio piemontese che verso la direzione opposta.
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    PAUL KLEE: PUNTI SPUNTI SU UN PITTORE ESTEMPORANEO
    (di Marco Volpato)

    Mai nella storia delle avanguardie artistiche del 900 ci si imbatte in una figura così particolare e unica come Paul Klee. Nativo di Berna la sua non può essere semplicemente annoverata tra le pitture d'avanguardia che scimiottavano il cubismo e il futurismo. Se infatti la sua è una pittura astratta per alcuni versi può essere considerata più naturale e vera di quella dei cubistie e dei futuristi. Mentre infatti i futuristi volevano "fermare" il movimento, rappresentare il mondo frenetico della metropoli, e, come "fermare" sulla tela qualcosa che si muove.... lo scacco era là ad aspettarli, la contraddizione era palese, il loro tentativi sono stati affrontati in vario modo: o le forme puntinate di Boccioni o i raggi e le spirali di Balla. Dall'altra parte la scomposizione dello spazio cubista di Picasso partiva comunque da una realtà e tentava di decomporla, interpretando una nuova visione che mirava ad oltrepassare lo spazio prospettico rinascimentale. Klee va in un'altra direzione ciò che a lui interessa dell'arte è la genesi, il movimento in una accezione diversa dai futuristi abbiamo visto. La sua pittura parte sempre dalla natura dal vero ma non è un semplice processo mimetico il suo vuole rendere visibili anche le cose invisibili. "l'arte non ripete le cose visibili ma rende visibile" nell'incipit di un suo scritto molto importante "Confessione Creatrice" in cui si intuiscono le sue letture Goethiane.
    http://studioviemmeart.blogspot.it/2016/06...un-pittore.html
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    LA VIA FRANCIGENA: STORIA E CURIOSITÀ
    (fonte: www.informagiovani-italia.com)

    La via Francigena è un itinerario molto antico che consentiva di raggiungere Roma partendo da Canterbury in Inghilterra. Anche oggi vi passano migliaia di pellegrini. Nel Medioevo, costoro dovevano percorrere a piedi, per devozione, almeno venti chilometri al giorno. Ogni pellegrino aveva diversi compagni di viaggio. Essi portavano tre insegne: una conchiglia, una croce e una chiave che rispettivamente sono i simboli dei tre luoghi santi: Santiago de Compostela, Gerusalemme e Roma. Questo percorso ha costituito, per anni, anche un'importante via commerciale ed era anche battuto dai soldati durante le guerre o per semplice controllo del territorio.

    www.informagiovani-italia.com/via_francigena.htm (cliccare sul link a sinistra per leggere tutto l'articolo e vedere le immagini)

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    L'ITALIA E I SUOI DIALETTI
    4 - Liguria***
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    Per quanto riguarda la ricerca di aree dialettali all'interno della Liguria, si potrebbe affermare che esse siano già disegnate sulla carta geografica, in quanto seguono con buona approssimazione la tipica impronta ad arco della regione. L'attenzione va rivolta quindi su Genova, situata proprio al centro del vastissimo golfo, e sulle estremità di Imperia, a Ponente, e di La Spezia a Levante. Genova difatti ha sempre costituito il filcro ideale dell'area dialettale; per la sua ovvia importanza, inoltre, ha funzionato sempre come centro di irradiazione. Le influenze gallo-italiche, che fanno ascrivere la Liguria nel gruppo dei dialetti settentrionali, sono state acquisite nella regione anziché dal confine gallico stesso, da quello quasi opposto, che guarda la pianura padana. Il contributo prettamente latino, giunto in età tardiva, ed altre infiltrazioni di tipo centro-meridionale, hanno reso quanto mai complesso disordinato e originale il lessico ligure, dove sono presenti vocaboli di derivazione lombarda, emiliana, toscana, meridionale in genere e addirittura araba. Le capacità recettive del capoluogo ligure vengono comunque bilanciate, ripetiamo, dai centri situati ai limiti opposto del golfo: Imperia e La Spezia ** . In queste due province, più conservatrici, non si ignorano, ma vengono poco usate certe vocali miste ( la ö e la ü, per essere espliciti) proprie della fonetica gallica e presenti, ad esempio, nel Piemonte. Un caso particolare è costituito dal dialetto d'Ormea, sul quale Schädel ha fatto studi piuttosto preziosi. Situata nella valle superiore del Tanaro, fra Liguria e Piemonte, la cittadina ha impronta dialettale ligure, ma anche intermedia fra le due regioni.
    Genova, tuttavia, si è aperta in passato anche ad influenze toscane e le ha diramate nelle regione. A Sarzana e dintorni il vocabolario ha parecchie affinità col toscano, ma in questo caso il fenomeno è tipicamente di confine, non è da ascriversi alle capacità innovatrici genovesi .
    La vicinanza con L'Emilia e con la Toscana è comunque da non sottovalutare; mentre infatti l'area dialettale ligure si estende e confina a Occidente e a settentrione coi territori francese e piemontese, ad Oriente rientra quasi perfettamente nei confini amministrativi regionali, appunto perché arginata dalle pressioni emiliane e soprattutto toscane.
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    CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA 2018: LE 21 CANDIDATE
    Franceschini: importante strumento per promozione territori e Italia museo diffuso
    (fonte: lavocedimaruggio.it) (Ostuni)

    Sono 21 le città in corsa per il titolo “Capitale Italiana della Cultura 2018”. Lo rende noto il Ministero dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo, che ha trasmesso al presidente della Conferenza Unificata l’elenco delle città candidate per avviare la procedura di valutazione che si concluderà entro il 31 gennaio 2017. Come nelle precedenti edizioni, la Capitale Italiana della Cultura 2018 riceverà dal Governo un contributo pari ad un milione di euro per la realizzazione del progetto.
    La giuria, chiamata ad esaminare i 21 progetti, sarà composta da sette esperti di chiara fama nel settore della cultura, delle arti, della valorizzazione territoriale e turistica. Entro la metà di novembre verrà definita una short list delle 10 città finaliste, tra queste sarà selezionata la vincitrice entro il 31 gennaio 2017.
    “Le esperienze finora realizzate, da quella in corso a Mantova fino alla prossima di Pistoia, dimostrano come il titolo di Capitale Italiana della Cultura sia in grado di mettere in moto un meccanismo di progettazione virtuosa e di promozione delle città, coinvolgendo tutte le realtà economiche e sociali dei territori e rafforzando il concetto di Italia museo diffuso”. Così il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini.
    L’iniziativa “Capitale Italiana della Cultura” è volta a sostenere, incoraggiare e valorizzare la autonoma capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione senza conflitti, la creatività, l’innovazione, la crescita e infine lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo.
    Il conferimento del titolo “Capitale Italiana della Cultura”, in linea con l’Azione UE “Capitale Europea della Cultura 2007-2019”, si propone i seguenti obiettivi: il miglioramento dell’offerta culturale; il rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociale, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica; l’incremento dell’attrattività turistica; l’utilizzo delle nuove tecnologie; la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità nei settori culturali e creativi; il conseguimento di risultati sostenibili nell’ambito dell’innovazione culturale.
    Ecco l’elenco delle 21 città in corsa per il titolo di Capitale italiana della cultura 2018 :
    1. Alghero
    2. Aliano
    3. Altamura
    4. Aquileia
    5. Candidatura congiunta Viterbo – Orvieto – Chiusi
    6. Caserta
    7. Comacchio
    8. Cosenza
    9. Ercolano
    10. Iglesias
    11. Montebelluna
    12. La Spezia
    13. Ostuni
    14. Palermo
    15. Piazza Armerina
    16. Recanati
    17. Settimo Torinese
    18. Spoleto
    19. Trento
    20. Unione dei Comuni Elimo Ericini
    21. Vittorio Veneto
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    ROBERTO GONSALVES E I SUOI QUADRI
    Venticinque illusioni ottiche che capovolgeranno la vostra percezione della realtà
    (fonte: curioctopus.it) *******

    Chi tra di voi è appassionato di arte non potrà, scorrendo la galleria di immagini che vi proponiamo, non pensare al maestro Magritte e al genio del surrealismo Dalì. Ma l'autore dei dipinti è un contemporaneo, Roberto Gonsalves, detto Rob, artista canadese nato nel 1959. I dipinti di Gonsalves ci offrono una rappresentazione dualistica del mondo, confondendo la realtà empirica con la fantasia, che coesistono e si fondono in un'atmosfera straniante e magica. Gonsalves inizia a dipingere a soli 12 anni, interessandosi precocemente alla prospettiva e, più tardi, studia architettura appassionandosi all'arte dei surrealisti, al realismo magico e infine alle illusioni prospettiche di Escher, che ebbero una grande influenza sui suoi dipinti.
    Ecco 25 opere che vi consigliamo di guardare attentamente, se volete cogliere la straordinarietà delle illusioni ottiche di questo interessante artista.
    www.curioctopus.it/read/6794/25-ill...ne-della-realta (clicca sul link qui a sinistra per vedere i quadri)
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    23 LIBRERIE CHE FARANNO IMPAZZIRE DI INVIDIA I VOSTRI OSPITI

    (fonte: curioctopus.it)
    I libri che si hanno in casa sono belli da mostrare, e devono avere la dovuta visibilità. Per non cadere nella monotonia dei classici ripiani in legno, vi proponiamo una lista di mensole e librerie originali, che impreziosiranno i vostri spazi.
    Che amiate uno stile moderno, vintage o etnico non importa, in questo articolo tutti i gusti saranno soddisfatti con dei pezzi da acquistare online, o da ricreare con un po' di sano lavoro fai da te.
    I vostri libri esposti non passeranno più inosservati!
    www.curioctopus.it/read/9097/23-lib...i-vostri-ospiti (clicca sul link a sinistra per vedere le immagini)
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    ANNA, MADRE DEL POPOLO
    (di Silvana Conti)

    Gli occhi neri, vivissimi, il viso serio, spesso imbronciato, incorniciato dalle ciocche di capelli scuri, sdegnata, rabbiosa, ridente, a volte anche sconfitta.
    “Anna…” E’ stata l’ultima parola dell’attore Burt Lancaster che l’aveva avuta come compagna di lavoro nel film “La rosa tatuata”; l’aveva amata anche nella vita e l’ha ricordata fino alla fine.
    Facilmente manesca, spesso per amore e per gelosia, non risparmiava manrovesci e ceffoni allo stesso Lancaster e anche a Roberto Rossellini, suo compagno nella vita, oggetto di uno storico lancio di un piatto di pasta in pieno viso, ricevuto in un ristorante, dopo averle comunicato che la lasciava per l’attrice svedese Ingrid Bergman.
    Romantica e struggente anche, quando cantava, stringendo un fascio di fiori, sullo sfondo del panorama di una Roma notturna con la sua voce esile e melodiosa: ”Quant’è bello fa’ l’amore quanno è sera…”
    Era una madre epica e grandiosa, in lotta per la sua famiglia, ancora sofferente per le conseguenze della guerra e attratta dal miraggio del cinema, pensando che forse era quella la strada per risollevarsi dall’incertezza del domani.
    L’indimenticabile madre di “Bellissima” è l’immagine di tante donne italiane: dopo tutti i tentativi per imporre nel cinema la sua bambina spaurita dalle luci dei riflettori e dalla confusione, sceglie di ritornare alla sua vita povera e anonima, dopo aver sperimentato che cosa si nascondeva dietro quel mondo mitico a cui tanto aspirava e decide che non avrebbe venduto il futuro della figlia per nessun compenso.
    “Mamma Roma”di Pasolini: dal carretto dove vende frutta al mercato alla prostituzione, per accogliere con un po’ di soldi suo figlio, un ragazzo fragile e sbandato, offrirgli una vita migliore, una moto nuova, insegnargli a ballare e inserirlo in un lavoro come cameriere ; il pianto segreto della madre mentre lo guarda lavorare rappresenta la speranza che anche per gli emarginati può esistere la possibilità di una vita normale e onesta.
    Presto però il ragazzo viene ripreso dai suoi amici sbandati e coinvolto nei loro piccoli furti e, durante un periodo di reclusione, muore, legato al tavolo di una cella di isolamento, perché il suo malore non viene creduto vero dai secondini che pensavano a un tentativo di rivolta. La madre, nella sua disperazione, lo ricorda così:” …Povera creatura mia, era come un passeretto!”.
    In questo film c’era anche il riferimento a un fatto di cronaca realmente accaduto.
    Anna è stata colpita duramente dalla vita proprio come madre: il suo unico figlio Luca, dai bellissimi occhi di Massimo Serato ,si è ammalato di poliomielite da bambino e ha portato tutta la vita i segni della malattia.
    L’attrice ha rappresentato, nelle caratteristiche del suo personaggio di donna del popolo, tutte le italiane del dopoguerra, che si sono riviste nel film “Roma città aperta”, in quella corsa disperata della donna dietro la camionetta dei Tedeschi che portavano via, sicuramente alla morte, l’uomo che lei voleva sposare.
    Su quel corpo, falciato dalle mitragliatrici dei Tedeschi, si precipitano il piccolo figlio, ancora vestito da chierichetto e il parroco , in un quadro da Deposizione.
    Non aveva frequentato l’Accademia d’Arte Drammatica, ma, come era evidente, non ne aveva nessun bisogno: un temperamento eccezionale, fortissima comunicativa e impegno totale nel lavoro.
    Ancora un gesto da madre in un film per la Televisione, quando una nota cantante chiamata al Fronte durante la prima Guerra mondiale, salva la vita a un giovane soldatino di fanteria, incaricato di accompagnarla negli spostamenti in una zona così pericolosa; lei doveva risollevare il morale delle truppe ma per la prima volta nella sua vita, non riesce a cantare, alla vista di tante sofferenze e dolore.
    Non ha voluto accettare il ruolo di Cesira, nel film “La ciociara”, diretto da De Sica; non si sanno esattamente i motivi, ma probabilmente non si sentiva di interpretare la madre di una donna adulta e molto diversa dall’ingenua adolescente Rosetta descritta da Moravia.
    L’ultima sua interpretazione, in teatro, a fianco del giovane attore a cui era legata nella vita, è stata ancora quella di una madre ma di una mamma” scellerata”, come la chiama G. Verga nella “Lupa”, attratta dal marito della figlia e da lui assassinata a colpi di roncola, per annientare la passione ossessiva che si era impadronita di loro.
    Molti dei suoi amici ricordano le memorabili serate passate con lei a Palazzo Altieri, tra i suoi numerosi animali, quando cantava per loro o, spesso, trovava spunti di litigio a seconda del momento; con lei, insomma, non c’era un attimo di noia e tutto diventava teatro.
    Improvvisamente la notizia della sua grave malattia e la morte, che sopraggiunse rapidamente durante il suo ricovero alla Clinica "Mater Dei" di Via Bertoloni a Roma.
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    "LE VOIAGE DANS LA LUNE". PRIMO FILM DI FANTASCIENZA - 1902
    (di Pierpaolo Serarcangeli)

    Nel 2011, a ben 109 anni dalla data di uscita, al Festival di Cannes è stata proiettata la versione restaurata del primo film di fantascienza: Le Voyage dans la lune. Il restauro di questo "cimelio" del cinema è costato ben 400.000 euro, ma forse ne è valsa la pena, vista la notorietà e la diffusione che il film ebbe ai suoi tempi.
    Fu realizzato da Georges Méliès nel 1902, col sistema a telecamera fissa e senza didascalie. A causa dei costumi e della ricchezza delle scene, ma anche per gli "effetti speciali" e le ingegnose soluzioni tecniche che adoperò il regista, costò circa 10.000 franchi: una bella cifra a inizio del Novecento.
    L'immagine della navicella che colpisce l'occhio della luna (che raffigura un volto umano) è rimasta famosa e tutti noi l'abbiamo vista, come fotogramma isolato, diffuso in svariate occasioni.
    Ve lo proponiamo in versione integrale. Val la pena vederlo.
    www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&es...131783435,d.bGg (clicca sul link qui a sinistra per vedere il film)
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    I PAESAGGI URBANI DI MARIO SIRONI
    (di Marco Volpato)

    Siamo nel biennio 1919-21 Mario Sironi è appena tornato dalla guerra, l'Italia è un paese da ricostruire. Sironi descrive la periferia una periferia milanese in continuo cambiamento. Nel 1911 infatti gli abitanti del centro erano 234054 mentre fuori dalle mura spagnole vivevano 372623 persone; nel 1921 l'anno di cui ci stiamo occupando, le cifre passarono rispettivamente a 255360 e 463440, con una forte differenza sociale tra il centro e la periferia. La città è monocentrica la ricca borghesia si arrocca sulle vecchie mura del centro storico. Sironi enfatizza il dramma dello squallore della periferia, i suoi paesaggi sono deserti con qualche persona a delineare la solitudine dei luoghi...
    http://studioviemmeart.blogspot.it/2016/09...rio-sironi.html (clicca sul link qui a sinistra per leggere interamente l'interessante articolo, che si estende ad opere di Boccioni, Goncharovo, Depero, De Chirico, Aldo Rossi)
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    LA TEORIA ESTETICA DI GOTTFRIED SEMPER
    (di Marco Volpato)

    Se due cose si possono dire di Gottried Semper cioè che è stato un grande architetto del suo periodo e anche un grande teorico, non altrettanto facile risulta dire che lui sia così famoso come meriterebbe. Certo alcuni critici moderni lo hanno riscoperto soprattutto per il suo approccio teorico alla questione estetica. Nato ad Amburgo nel 1803 ebbe una vita segnata da un episodio: i moti rivoluzionari di Dresda nel 1849 cui partecipò attivamente anche costruendo barricate che leggendariamente si dicessero fatte così bene da non poter essere penetrate ma solo aggirate. È in questo periodo che Semper si trova a dover fronteggiare un periodo buio per la sua attività di architetto avendo pochissimo lavoro ed essendo osteggiato dalle autorità contrarie ai moti del 1849, fu anche costretto a rifugiarsi prima in Svizzera poi a Vienna.
    È qui che comincia a scrivere le sue teorie dell’architettura sull’origine di essa con un carattere nettamente positivista. La capanna come primo segno dell’abitare umano dopo le grotte, si trova in molto suoi scritti, ma, rivoluzionando la nota tesi di Vitruvio secondo cui la capanna di legno fosse l’antenata del tempio greco.
    Tesi sostenuta da molti trattatisti cinque e seicenteschi e mai messa in discussione. In varie occasioni Semper, sia negli scritti che nei convegni andava ad affermare che :” le derivazioni dal motivo fondamentale della capanna siano insignificanti ed ininfluenti per il tempio greco.” Questa idea viene poi radicalizzata nel suo libro più importante Der Stil nel quale il suo rifiuto alla tesi vitruviana è totale:” questo importante dato di fatto elimina una volta per tutte l’oziosa discussione della capanna di legno di Vitruvio come presunto modello e prototipo del tempio greco, della sua forma complessiva e delle sue parti architettoniche.” Su una cosa però Semper sembra sia in accordo con Vitruvio cioè sull’origine del materiale da costruzione: il legno appunto. Alcuni autori del periodo semperiano affermavano d’altra parte che il primo materiale fosse la pietra e non il legno.
    www.studioviemme.it/la-teoria-estetica-di-gottfried-semper (clicca sul link a sinistra per leggere l'intero articolo)

    Edited by pierpaolo serarcangeli - 10/10/2016, 15:34
     
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